Dazi e capitalizzazioni in Borsa, le big tech statunitensi perdono valore

Al crollo in borsa delle big tech dello scorso lunedì, secondo alcuni, avrebbero contribuito le dichiarazioni del presidente statunitense, Donald Trump, fatte la scorsa settimana, con le quali aveva ventilato la possibilità di una “fase di transizione” dell’economia statunitense. Sono state interpretate come un allarme alla recessione. “È la prima volta che un’amministrazione dice a chiare lettere che gli obiettivi causeranno dolore”, dichiara Shelby McFaddin, analista di Motley Fool Asset Management. Trump, rifiutando di escludere una recessione nel 2025, avrebbe così provocato una nuova ondata di ribassi nei titoli azionari statunitensi.

Ebbene, lunedì Tesla a Wall Street ha perso il 13,23% delle sue azioni. E la capitalizzazione di mercato della società è scesa del 45% rispetto al massimo storico raggiunto il 17 dicembre, 1.500 miliardi di dollari. Quello di questa settimana è dunque il più grande calo intraday da gennaio 2023. Se il titolo avesse chiuso vicino al minimo di sessione di 225,59 dollari, sarebbe stato il più grande crollo in un giorno dell’azienda da settembre 2020. 

Il calo sarebbe dovuto alle vendite, diminuite in Cina, Usa e Europa ma anche al coinvolgimento politico di Elon Musk. Alcuni investitori temono infatti che il suo nuovo ruolo come capo del Dipartimento dell’efficienza governativa sia una distrazione per il miliardario. È stato lo stesso Musk a dichiararlo. Poi ci sarebbero da aggiungere le cause legali e le indagini federali che Tesla ha dovuto affrontare per gli incidenti, in alcuni casi mortali, collegati ai sistemi di assistenza alla guida Autopilot e Full Self-Driving. Infine le minacce di Donald Trump sui dazi per i prodotti provenienti da Canada e Messico. 

Pochi giorni fa c’era stato anche il crollo di Nvidia, l’azienda produttrice dei chip utilizzati per lo sviluppo dell’intelligenza artificiale che aveva aperto la settimana finanziaria scorsa in ribasso del 5% per poi precipitare quasi del 10% e chiudere infine in calo dell’8,69%, intorno a 114 dollari, a fine seduta sul listino del Nasdaq. Dall’inizio dell’anno il titolo ha perso il 15,8% facendo uscire la società dal ristretto «club» dei tre mila miliardi (di capitalizzazione), dove oggi resiste soltanto Apple (che attualmente in Borsa vale 3,56 trilioni di dollari).

Un nuovo lunedì nero quello del 10 marzo 2025, durante il quale tutte le big tech hanno subito una perdita complessiva di oltre 750 miliardi di dollari in capitalizzazione di mercato, segnando la peggiore sessione del Nasdaq dal 2022: -2,8% il Dow Jones, -2,7% lo S&P 500, -4% il NASDAQ.

  • Tesla: -7,5% (in giornata è arrivata a perdere più del 15%, in due mesi sono stati bruciati 100 miliardi di dollari)
  • Microsoft: -3,5%
  • Apple, Alphabet, Amazon, Meta, NVIDIA: -5%

I dazi di Trump hanno anche offuscato il commercio dell’IA: Nvidia, nuovamente, è risultata tra le peggiori (con l’enorme incertezza sulle nuove norme per l’export di microchip), riportando un calo del 24% nell’ultimo mese e di oltre il 12% negli ultimi cinque giorni. Una azienda che in cinque anni ha guadagnato il +1.832,91%

Tra le ulteriori concause si aggiunge anche l’emergere di startup cinesi nel settore dell’intelligenza artificiale, come DeepSeek, che al lancio aveva sollevato dubbi sulla competitività delle aziende tecnologiche statunitensi. ​ 

Nonostante queste fluttuazioni, alcuni analisti rimangono ottimisti sul potenziale a lungo termine delle big tech, citando le loro solide fondamenta e la capacità di innovare nel campo dell’intelligenza artificiale. Ma il dubbio che la bolla stia per scoppiare inizia ad aleggiare. 

Come non dimenticare infatti lo sgonfiamento della Borsa nella scorsa estate, probabilmente dovuto alla svalutazione dello yen. Ne avevamo parlato in questo approfondimento.

“C’è da chiedersi quale sarà la risposta del mercato tra una settimana, o addirittura tra un mese”, dice Matt Stucky, chief portfolio manager di azioni presso Northwestern Mutual Wealth Management. “Il mercato non è esattamente a buon mercato”.

E da mesi gli investitori temono che le elevate valutazioni dei titoli possano pesare sui rendimenti a lungo termine.

L’amministratore delegato di JPMorgan Chase, Jamie Dimon, ha avvertito a gennaio che i venti contrari all’economia potrebbero rendere difficile per le aziende giustificare i loro prezzi azionari elevati: “I prezzi degli asset sono un po’ gonfiati”, ha dichiarato sempre Dimon alla CNBC in occasione del World Economic Forum di Davos, in Svizzera. “Sto parlando del mercato azionario statunitense. Ma non è così per i mercati azionari di tutto il mondo”.

Sta di fatto che alcuni leader aziendali hanno ridotto le loro partecipazioni azionarie negli Stati Uniti. La Berkshire Hathaway di Warren Buffett ha in programma di aumentare le sue partecipazioni in azioni giapponesi, dopo aver accumulato una somma record di 321,4 miliardi di dollari in contanti e buoni del Tesoro. Mark Zuckerberg ha venduto più di 500 milioni di dollari di azioni di Meta quest’anno, secondo i dati di S&P Global Market Intelligence. E sia Zuckerberg sia Jeff Bezos hanno scaricato miliardi di dollari di azioni delle loro aziende nel 2024.

La recente ondata di ribassi nel settore tecnologico sta sollevando interrogativi sulla sostenibilità della crescita delle big tech e sulla possibile fine di un’epoca di espansione senza freni. Il mercato potrebbe trovarsi di fronte a una correzione significativa. Se si tratti di una fase passeggera o dell’inizio di un ridimensionamento strutturale è ancora da vedere, ma il nervosismo degli investitori è ormai palpabile.(foto di D Z su Unsplash)

© RIPRODUZIONE RISERVATA

    Iscriviti alla newsletter