Inauguriamo oggi 90% below, uno spazio dedicato al Trasferimento Tecnologico (TT) e al suo impatto nell’economia e nella società con un’intervista a Giuliana Mattiazzo, Professore Associato del DIMEAS, Dipartimento di Ingegneria Meccanica e Aerospaziale ed attualmente Vice Rettore al TT del Politecnico di Torino. Un Ateneo, nato come “Regio”, che, in oltre 150 anni si è distinto per la qualità della didattica e della ricerca ma anche per la capacità di interagire con l’industria dell’area torinese, italiana ed estera, proponendo innovazioni nelle diverse aree disciplinari. Ho avuto il piacere di conoscere Giuliana all’inizio del suo incarico, affidatole dal Rettore Guido Saracco e di vederla al lavoro. Grande senso del dovere, passione unita a competenza, esperienza diretta nel processo di valorizzazione dei risultati della ricerca, capacità negoziale, resistenza allo stress e positività sono le caratteristiche che più mi hanno colpito di lei. Sono pertanto contenta di poter aprire, con il suo contributo, questo spazio e di condividere con i lettori la sua ricca esperienza. Ciao Giuliana, grazie in primo luogo al Politecnico di Torino per essere un partner strategico di EUREKA! Venture SGR. Che valore dai a questa partnership? Ciao Anna, grazie a te per questo confronto! Ti rispondo subito, evidenziando tre elementi che ritengo strategici della nostra partnership. Il primo è l’azione di supporto nella comprensione del valore e dell’impatto insito nelle tecnologie e brevetti sviluppati in Ateneo, in modo tale da approfondire le possibilità di sviluppo industriale e, quindi, di una valutazione da parte del Fondo. Il secondo è legato all’opportunità di poter lavorare insieme nell’accompagnare il necessario cambiamento culturale di chi abbia intenzione di trasformarsi da ricercatore in imprenditore, anche solo per un breve periodo della sua carriera. Il terzo elemento risiede, ovviamente, nel poter garantire la giusta finanza di cui necessitano tutte le iniziative che si trovino in uno stadio iniziale, in particolare in fase di Proof of Concept. Parlami un po’ di te… cosa vuol dire essere delegata al Trasferimento Tecnologico del Politecnico di Torino?
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Giuliana Mattiazzo – Politecnico di Torino
Il riconoscimento dell’impegno di un percorso di trasferimento tecnologico è un vero passaggio culturale che gioverebbe alla crescita dell’impatto della ricerca nel mondo produttivo e avrebbe un fattore amplificante degli investimenti fatti sulla ricerca.
Parallelamente, nel mio ruolo, sto operando in modo da mettere in rete quanta più finanza possibile affinché queste iniziative possano svilupparsi ed essere conosciute all’esterno: la finanza adeguata non standardizza l’approccio all’iniziativa, non adotta parametri tradizionali, utilizzati per imprese già avviate sul mercato, per la determinazione del valore, ma entra nel merito di diversi fattori quali ad esempio l’effettiva possibilità di accesso al mercato, la maturità dello sviluppo, la possibilità di scale up dell’iniziativa, e accompagna il team imprenditoriale alla comprensione di logiche di condivisione del rischio. Per quanto riguarda gli strumenti a supporto della valorizzazione di brevetti e degli spin-off, abbiamo lavorato per introdurre nei CBA, criteri bibliometrici d’Ateneo (che rappresentano parte degli strumenti di valutazione della performance che definiscono l’allocazione delle risorse finanziarie e strumentali all’interno dell’Ateneo), dei parametri di valutazione appositi che diano la giusta premialità sia al deposito brevettuale che alla costituzione di impresa, aggiungendo questi parametri ai tradizionali indici bibliografici.
L’attività di trasferimento tecnologico, inoltre, non può prescindere, nella sua essenza, da un intenso rapporto con il mondo delle imprese, delle aziende capaci di cogliere l’innovazione derivante dall’utilizzo di nuove tecnologie all’interno dei loro processi produttivi.
Per questo sto lavorando per rendere più snelle le procedure di licensing e per fare maggiore diffusione esterna delle potenzialità presenti in Ateneo. Il Politecnico è partito per primo con lo sviluppo della piattaforma Knowledge Share, che ora è divenuta una piattaforma nazionale per la promozione dei brevetti. È una vetrina importante per rendere visibile quello che siamo in grado di produrre come Enti di ricerca. Stiamo inoltre operando per consolidare ed ampliare il rapporto con le imprese attraverso la gestione e promozione di accordi di partnership a medio/lungo termine inserendo, oltre ai tradizionali contenuti relativi a formazione e ricerca, anche criteri per l’utilizzo/acquisizione del nostro portafoglio brevettuale, strutturando a monte, per quanto possibile, le procedure di licenza e di riconoscimento delle iniziative.
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Lo spin off, se nasce per lucro immediato, non può considerarsi spin-off. Questa tipologia di impresa, si basa su intuizioni “disruptive” dove le persone, per molto tempo, non hanno alcun tipo di ritorno, anzi solitamente hanno esborsi economici e impegno lavorativo considerevoli. Ciò che muove la scelta di costituire uno spin-off è l’opportunità di poter trasferire la propria ricerca, di farla diventare qualcosa di tangibile, un risultato estremamente sfidante per un ricercatore, non abituato a ragionare in termini di “economicità”, quanto piuttosto in termini di “prestazioni”.
Il processo di industrializzazione di una tecnologia, il confronto con il mercato, etc. sono molto lontani, solitamente, al momento di costituzione della società, ed è forse il momento più delicato: è l’attimo dove nasce la consapevolezza della necessità di allargare il gruppo di lavoro a nuove competenze e di utilizzare una finanza diversa da quella con la quale si è operata la ricerca…semplicemente si passa dal “fondo perduto” all’”equity”: altro passaggio non banale per il detentore del know how, che attribuisce un valore alla propria iniziativa che mediamente non trova l’adeguato riscontro. Tutto questo processo ha bisogno di tempi di sviluppo anche più lunghi dei tre anni, soprattutto in alcuni settori tecnologici. Durante il primo anno di vita, solitamente il team di persone di uno spin off deve acquisire la sensibilità a tutte queste novità, durante il secondo anno affronta la problematica della finanziabilità dell’iniziativa, e, solitamente al terzo anno è finalmente pronto per un round di finanziamento ed iniziare ad operare: se il promotore dell’iniziativa ne viene sottratto, l’iniziativa stessa perde di forza e di efficacia. Ci vogliono anni, questo è il motivo per cui abbiamo operato in modo di modificare il regolamento. L’altra direzione verso la quale ci stiamo muovendo è quella di far crescere lo spirito imprenditoriale negli studenti, non abbiamo bisogno solo di manager ma anche di imprenditori che possano eventualmente integrarsi nei team imprenditoriali.
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Le attività del Technology Transfer si collocano in maniera più generale nella Terza missione delle università: è, per così dire, il contatto con il mondo esterno.
A livello nazionale, il Politecnico, è, pur con le congenite carenze di organico, strutturato bene: a volte sento, purtroppo, colleghi che non dispongono ancora dei processi, dei collegamenti ed alcuni nemmeno dell’idea di potenziare l’area del Trasferimento Tecnologico. Secondo la tua esperienza, quali sono gli elementi di criticità e i limiti più frequenti e comuni che riscontri in operazioni di Trasferimento Tecnologico? Io sono una persona positiva quindi il bicchiere per me è sempre mezzo pieno. Piuttosto che parlare di criticità mi piace soffermarmi sui traguardi raggiunti. In primo luogo, vedo sempre più gente che “usa” la parola “innovazione”. Ciò è fondamentale, come lo è il poter disporre di un po’ più di risorse rispetto al passato.
Quello su cui c’è da lavorare, non parlo solo di noi come Atenei ma anche del sistema finanziario, è la valutazione del valore delle iniziative. I metodi ancora oggi utilizzati sono viziati, molto viziati da criteri “bancari” e da parametri di valutazione troppo rigidi. Su questo aspetto, per me, c’è da lavorare ancora tanto.
Se guardiamo poi all’innovazione richiesta agli Atenei dall’esterno, beh, diciamolo, sono ancora pochissime quelle aziende che innovano veramente in Italia. Si fa più marketing dell’innovazione che vera innovazione nel nostro Paese. L’innovazione è fatta di passi, di processi e per fare innovazione devi avere obiettivi e strategie chiari: solo le imprese che hanno realmente consapevolezza delle necessità del mercato possono capire in anticipo, e dare indirizzi sull’innovazione vera, disruptive. La consapevolezza della dinamica e degli investimenti del trasferimento tecnologico garantiranno di essere pronti al momento giusto, quindi degli apripista, non dei follower. Paradossalmente, invece, i centri di ricerca sono sempre più aperti alla collaborazione con il mondo esterno. Organizziamo spesso in Ateneo, workshop tematici dove ricercatori e tecnici delle aziende semplicemente si confrontano su tematiche di interesse verticale e questo aiuta ad individuare degli obiettivi e delle nuove opportunità. Un tempo gli atenei erano chiusi, oggi la situazione è diversa, i colleghi sono tutti interessati a collaborare con le aziende. Questo, forse, è il principale dei risultati finora raggiunti perché ha a che fare con l’assetto culturale della nostra società che è l’elemento imprescindibile per l’innovazione. Contributor 90% below è il blog di Anna Amati, Partner EUREKA! Venture, Sgr che gestisce il fondo, Eureka! Fund I – Technology Transfer, focalizzato in startup, spin-off e progetti cosiddetti POC (Proof of concept) provenienti da una rete qualificata di centri di ricerca partner, nell’ambito dei materiali avanzati e più in generale scienza e ingegneria dei materiali. [Immagine di copertina Laura Ockel on Unsplash ]
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